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Sul pannello si legge: L'oratorio di San Michele è quanto rimane dell'antica chiesa dedicata a San Michele, o ai santi Arcangeli, la cui fondazione risale probabilmente all'epoca della fortificazione bizantina del luogo, databile tra il 569 e il 602. La sua storia rispecchia le turbolente vicende del sito, a ridosso del Castelvecchio. Nel 1390 la chiesa fu parzialmente compromessa da un incendio, scoppiato in seguito alla guerra tra Francesco Novello e i Visconti che si erano asserragliati nei pressi della Torlonga. Al rifacimento del tempio corrisponde l'edificazione della cappella dedicata a Santa Maria. Nel 1393 Pietro Bovi, ufficiale della Zecca carrarese, ne commissionò la decorazione pittorica a Jacopo da Verona. Nel 1815 la struttura, in cattivo stato di conservazione, fu abbattuta. Si salvò la cappella Bovi, denominata da allora Oratorio di San Michele. Quanto oggi rimane degli affreschi è solo una parte del complesso originario che si estendeva sulle pareti della chiesa, la cui paternità è accertata da una lapide in loco. Il ciclo decorativo prende le mosse al di sopra dell'arcone che in origine collegava la chiesa alla cappella, dove è dipinta la scena dell'Annunciazione. L'ampia spazialità della scena rimanda al maestro di Jacopo, Altichiero da Zevio, al seguito del quale Jacopo era venuto a Padova in occasione della decorazione dell'Oratorio di San Giorgio. Nello spazio sottostante campeggia l'Angelo Michele con la bilancia per pesare le anime. Sulla parete orientale sono dipinte la Natività e l'Adorazione dei Magi, in cui, nel contesto cortese della processione regale, Jacopo inserì il ritratto di Francesco Novello. Sulla parete d'entrata è raffigurata l'Ascensione, mentre su quella occidentale campeggiano la Pentecoste e la Dormitio Virginis. Nel sottarco si trovano un Vescovo, i Dottori della Chiesa e i simboli degli Evangelisti. Nell'Oratorio di San Michele, ultima delle imprese pittoriche che hanno reso la Padova del Trecento la città più ricca di affreschi d'Italia, Jacopo da Verona operò una sintesi tra il linguaggio spaziale e cortese di Altichiero, quello arcaizzante di Giusto e la vivacità narrativa di Jacopo Avanzi. |
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