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Padova Pannelli Mirabilia   44 La “Ruga” degli Orefici: persistenza della tradizione orafa modi: foto mappa
La “Ruga” degli Orefici: persistenza della tradizione orafa
Sul pannello si legge: La "ruga" degli orefici si estendeva nel Trecento lungo il portico del Palazzo del Podestà, oggi del Municipio. In questo luogo centrale si trovava gran parte delle botteghe degli orafi padovani, dove si potevano vendere liberamente piccoli manufatti, anelli, fibbie di cinture, bottoni, mentre per la vendita di pezzi più importanti era necessaria l'autorizzazione del gastaldo dell'arte. Artigiani stimati, innovativi, rappresentanti di un'arte non certo minore, ma anzi pilota per il trecento padovano, gli orafi godevano di una particolare stima legata ai materiali che lavoravano e alla ricca clientela. Gli Statuti Comunali contenevano numerose prescrizioni volte a salvaguardare la qualità dei materiali. L'oro non doveva avere un titolo inferiore a quello del tari siciliano, dedici carati; la caratura dell'argento doveva essere pari a quella della sterlina inglese. Chi trasgrediva era punito con il sequestro dell'oggetto e una multa di cento lire. Era obbligatorio imporre il punzone della bottega agli oggetti, ma questa norma fu spesso disattesa in quanto comportava un costo ulteriore. La fraglia, devota a Sant'Egidio, si riuniva dapprima in una cappella di tornacoro della chiesa del Santo, oggi dedicata a San Bonifacio, successivamente nella chiesa di San Martino, vicino all'Università e alla "ruga" degli orafi. Gli inventari dei monasteri illuminano sulla consistenza degli arredi liturgici trecenteschi, gli unici conservati, mentre alcuni inventari privati, come quello di Giovanni Dondi dall'Orologio, documentano, già a fine Trecento, il gusto protorinascimentale per le argenterie da tavola e per gli accessori d'abbigliamento in filigrana d'argento o decorazioni con perle o smalti. Nulla si è conservato dell'argenteria profana, e completamente dispersi sono andati i gioielli delle donne dei Carraresi. Si sa che Francesco Novello, mandato in esilio dai Visconti nel 1390, riuscì a ritornare vendendo i gioielli della moglie Taddea che aveva portato con sé.
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